Descrizione
Nel suo saggio, pubblicato nel 1907, Helene Arndt affronta lo studio del governo interno del Regnum Siciliae sotto l’ultimo Staufer, Manfredi, che dello Stupor mundi sembra destinato a essere considerato un epigono e la sua politica, ampiamente analizzata, appare costantemente in serrata continuità con quella di Federico II, tanto da rendere difficile considerare il giovane Svevo un sovrano autonomo. Pure in merito alla politica cittadina di Manfredi e alla vita culturale della sua corte emerge chiaramente quanto essa fosse perfettamente in linea con la tradizione normanna e gli orientamenti fridericiani. è senz’altro rilevante quanto esposto a proposito degli articolati rapporti con lo Studium Bolognese e della vita culturale presso la corte di Manfredi, al quale però l’Autrice attribuisce una certa leggerezza, che accosta alla superficialità, e una visione ingenua della vita, che sono caratteristiche tipiche dell’artista. Questo tratto si coglie diffusamente nel corso della trattazione. Manfredi, sicuramente dotato di una natura impulsiva, non si sarebbe mai mostrato originale, ma sempre dipendente dal volere dello zio Galvano Lancia, che subito dopo la morte di Federico II aveva iniziato a curare gli interessi del nipote. Arndt, come August Karst, Raffaello Morghen e Michael Döberl, costruisce il suo lavoro sull’inimicizia Lancia-Hohenburg e inserisce il lettore nella temperie culturale e politica dell’epoca, che ha evidenziato rigore scientifico e rinnovato spirito critico nella lettura delle fonti. In antitesi con la serena visione di storici come Von Raumer e Schirrmaker, il saggio è senza dubbio condizionato dal giudizio espresso da Jamsilla su Manfredi e La storia del governo interno di Manfredi, pertanto, si colloca pienamente nella coeva tradizione storiografica germanica, che tra Otto e Novecento fu fortemente alimentata dal serrato confronto ideologico tra Piccoli e Grandi tedeschi.
Luciano Catalioto