Descrizione
Nello scrivere si può alludere, offrendo la possibilità di una lettura molteplice attraverso armi silenziose quanto potenzialmente eversive. Si tratta di verificare possa esistere nella Commedia un livello polisemico rimasto sullo sfondo, a causa di una serie di «lucchetti» sapientemente richiusi da Dante. Nella prima parte viene svolta un’indagine tendente a collocare l’opus magnum dantesco nel quadro di una tradizione che si sospetta possa risalire ben oltre il consueto hortus conclusus del Dolce Stil Novo. Il punto cruciale di questo approccio è l’individuazione di un eventuale linguaggio di gergo, noto ai tempi di Dante ad un gruppo ristretto di persone. Se questo gergo è esistito, esso ha fornito un valore aggiunto ad un corpus di opere che già riveste un alto valore poetico, letterario e storico. Si analizzano quindi il significato delle apostrofi, la presenza delle forme gergali e alcune particolari prese di posizione da parte del poeta nei confronti della visione teologica del tempo. Al termine, si è provato a tracciare alcune conclusioni, forzatamente interlocutorie, ma che ci auguriamo possano servire come contributo su un argomento talmente arduo da far tremar le vene e i polsi.