Descrizione
Vincitore della quarta edizione del Premio Letterario Internazionale “Gaetano Cingari” 2009 sezione Silloge Inedita
Tutto è poesia in questa nuova opera di Donatella Vinci e tutto prende le distanze dalla poesia, per il “timore” della poetessa di relegare se stessa e il mondo in una sfera che separi dalla vita. La parola, allora, si costruisce autonomamente, a gradi, osserva e riferisce, ma con leggerezza e senza “indiscrezione” e, per questa stessa leggerezza si fa ardita, scava sfiorando, si fa bisturi accarezzando. Pare imprigionata nel ritmo che si è posto, in un andamento “affrettato”, quasi che voglia procedere sulle ali delle impressioni e, invece, descrive con la precisione di una miniaturista. Il territorio che attraversa e nel quale, ma senza indugiare troppo si sofferma, appare vago, sospeso, senza radici profonde, sia che si tratti del paesaggio dell’anima, delle dinamiche del pensiero, dell’alveo dei sentimenti, sia che abbia una valenza topografica. Ma è solo impressione, perché poi, la poesia acquista concretezza inaudita, si fa luogo, vie, case, strade, divora distanze, alterna paesaggi, uomini, popoli, nazioni, si fa cielo e terra, colori. E, in fusione mirabile con la fantasia creativa, si fa coscienza, giudizio, ma senza arroganza; si fa amore. Il lettore ha coscienza del sentimento che pervade il corpo e l’anima del poeta, non si interroga sul referente, non ne avverte l’importanza, ma capta la capacità illimitata di amare, senza pregiudizio e avverte il senso totale della bellezza e dell’innocenza. In mirabile sintesi, la poesia rivela la caratura interiore del poeta ma rivela anche l’universo, la creazione; in negativo, il rapporto con il trascendente e con Dio, talvolta in chiave ironica. E, poi, la “Terra Rossa”. Natura che è terra, paesaggio, origine e luogo natio, che è radice inestirpabile, che è suono, pianto e canto, che è cielo stellato e voci e canto e musica e danza, poesia che omologa il tamburello alla luna e tu non sai quale sia il corpo celeste, perché entrambi vivono e vibrano, al ritmo vitale della danzatrice. Raramente, come in quest’opera poetica, la poesia ha parlato, senza avere bisogno di segni e di voci, perché il suo linguaggio, come nella musica, ci pervade senza tramite e ci fa conoscere senza volere insegnare.
Stefano Mangione