Descrizione
Un paio di anni fa sono stata relatrice della tesi di laurea con cui Rosamaria Scarfò concluse il suo brillante percorso universitario, laureandosi in Lettere moderne con il massimo dei voti e la lode. Oggi l’autrice presenta al pubblico il suo elaborato finale, parzialmente rivisto, sotto forma di libro.
Dedicato alla scrittrice ormai canonica Anna Maria Ortese, e, in particolare, alla sua cosiddetta trilogia fantastica, composta dai romanzi L’iguana, Il cardillo addolorato e Alonso e i visionari, lo studio di Scarfò si incentra soprattutto sul primo dei tre, l’affascinante ed enigmatico racconto, ricco di reminiscenze autobiografiche che, secondo molti studiosi, può essere considerato il vero capolavoro ortesiano.
L’attenzione si concentra in via prioritaria sull’ermeneutica del concetto di alterità, con escursioni anche nel campo psicoanalitico, e con riferimenti soprattutto a Lacan. Si tratta del nucleo energetico e strutturale più profondo della scrittura di Ortese, un nucleo su cui la critica continua a essere dibattuta. Per Scarfò, la scrittrice condensa in esso una complessa riflessione sui rapporti di potere interni alle società occidentali, elaborando una forma peculiare di scrittura militante, che ambisce segretamente alla critica politica e che, per questo, si fonda su una sistemica pratica di traslazione allegorica.
Lo sfondo storico e politico, in questo quadro, non costituirebbe una dimensione astratta e impersonale, ma sarebbe la chiave attraverso cui leggere le trame e le stesse relazioni tra i personaggi, anche tra quelli più umili, perché ciò che avviene nella storia reale sembra trovare una paradossale, ma riconoscibile corrispondenza nelle singole, pur fantastiche, rappresentazioni letterarie.
Contrariamente a quanto sostengono molti, il conflitto ortesiano tra bene e male viene interpretato da Scarfò come un terreno sfuggente, pieno di zone d’ombra. Gli umili, i deboli, gli animali, quasi sempre protagonisti delle opere di Ortese, non sarebbero semplici vittime. Per Scarfò non ci sarebbero capri espiatori o figure di bontà assoluta: la personificazione dell’alterità non salvaguardata, rappresentata nei tre romanzi dagli animali protagonisti, e cioè dall’iguana, dal cardillo e dal puma, non sarebbe innocentistica. Anche queste semibestie non sarebbero esenti dalle manifestazioni del male e non sarebbero, dunque, allegorie del bene.
Più che una logica di contrapposizioni, si dovrebbe cercare nell’opera di Ortese una rappresentazione ambivalente della problematicità del giudizio, dell’intercambiabilità e della continua rovesciabilità delle impressioni e delle tesi. Non ci sono verità chiare e definitive, non ci sono messaggi di senso incontrovertibili. Emerge da queste pagine una visione di Ortese come scrittrice dell’ambiguo, tentata più dal misterico che dalla razionalità.
L’analisi di Scarfò è mossa da un costante coinvolgimento empatico. Il lettore vi potrà trovare sia indicazioni utili per introdursi nell’universo narrativo di Ortese, sia disseminate tracce di quella partecipazione emozionale che rivela e insieme irradia la passione per l’opera analizzata.
Margherita Ganeri
Professore di Letteratura italiana contemporanea
Università della Calabria