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Il primo passo

19,00 

Amelia Ruggeri Leva
Il primo passo

Genere: Romanzo
pp. 160 | 14×21 cm | giugno 2024 | 978-88-3374-261-8

In copertina: Gustav Klimt, Le tre età della donna, 1905

COD: 978-88-3374-261-8 Categoria: Tag: ,

Descrizione

Il primo passo è la storia di Andrea, bambina, ragazza e infine donna, e degli avvenimenti che condizionano la formazione della sua personalità. Attraverso le prime esperienze giovanili – scout, sport, scuola, droga, amici, amore – Andrea conosce e disconosce la società che la circonda e nella quale si trova immersa ma sempre ai margini, estranea agli altri e a se stessa.

La sfida che accompagna il lettore fino all’ultima Fase – così sono denominati i capitoli del romanzo – è quella di comprendere, con l’ausilio di brevi ma illuminanti dialoghi scritti dalla protagonista, il ruolo determinante delle emozioni come strumento di crescita interiore. Una riflessione, quella di Amelia Ruggeri Leva, sull’inconoscibilità dell’Io, ma anche sul conforto e la pervicacia della fede aprioristica in se stessi.

Il primo passo

Recensioni

  1. salvatore pirozzi

    Andrea, o dell’inconsapevole anarchia

    Conosco Amelia, l’autrice, fortunatamente da una ventina d’anni, sfortunatamente non da prima. Lei e la sua famiglia fanno, insieme ad altre meravigliose presenze, di Pollara un sogno, Pollara è il posto magico del sovrappensiero. Leggere Il primo passo a Pollara è, finalmente, andare in stanb by e riattraversare la propria vita.
    Conosco quindi l’autrice. Ma leggendo il libro scopro una Amelia sorprendente, che non conoscevo. La proiezione biografica nella lettura è inevitabile: è Andrea o è Amelia? ma poi, un poco alla volta, prevale quella autobiografica del lettore: è Andrea o sono io?.
    Il libro consiste in una serie di quadri la cui protagonista è una donna, Andrea, seguita da bambina alla piena giovinezza, un nome da maschio, scelto forse a rappresentare un deposito femminile anche nell’altro sesso, deposito ormai dimenticato.
    Echi autobiografici di Amelia, forse, ma non è importante. La cosa importante è che ciascun lettore può riconoscersi in almeno uno di questi quadri, ognuno dei quali risveglia una stazione della nostra via crucis evolutiva, una esperienza per la quale tutti passiamo. Ognuno di noi lettori diventa un poco Andrea,
    Andrea è una costante presenza intimamente anarchica, non una anarchia ideologica voglio dire; è una anarchia che non nasce dalla mente o dalla coscienza, da una scelta in nome di principi e di ideali, non ha, insomma, niente di militante, è una anarchia che viene dal corpo, che ne è la voce, che è il corpo. Del resto, l’importanza del corpo, come sistema unico di percezione, emozione e intelligenza, un sistema in cui la mente non è più localizzata nel cervello, ma è, come dicono gli specialisti, embodied, è questione ormai assodata.
    Andrea, per tutto il libro, non ha maestri o maestre, né informali, la famiglia, né formali, la scuola. Non nasce da storie o da ricordi, Andrea, ed è questa una sua difficoltà esistenziale, non ha ricordi e scopre di non avere neanche una madre, essendo stata adottata da Gina.
    Senza ricordi niente futuro, dice.
    Una specie di ragazza selvaggia, gettata in un mondo che prova a presentarsi a lei già codificato, regolato, cadenzato e che propone sé stesso come la casa in cui crescere, come la casa a cui diventare conforme. Un mondo regolato per assurdo, negli uffici pubblici di cui si parla e dove Andrea approda adulta e ancora ribelle, in cui la regola dominante è ignorare le regole e le procedure, vivere una rete di autarchie soggettive (nulla di anarchico quindi) e colluse in una complice melassa sociale.
    Ma Andrea, e in questo accoglie le pulsioni di generazioni di ragazzi e giovani, ha la forza di un corpo, un corpo esigente, che mette in campo istinti e diritti a esistere prescindendo da modelli, ubbidendo alla sua forza vitale e costruendo relazioni, e quindi legami e quindi società e quindi regole, che abbiano un senso. Siamo oltre la resilienza, siamo in una disubbidienza vitale.
    La sua anarchia, il suo ribellismo, parola che compare all’improvviso verso la fine del libro, sono una forza insopprimibile, sono un modo di essere e non un modello di come bisogna essere. Un libro sulla gioventù, ma una gioventù femmina, verrebbe da dire. Una libertà, non so se l’autrice ne sia consapevole o se la conosca, che risuona Goliarda Sapienza, su questa forza, su questa natura, che si adempie ma non si educa, perché è già tutto lì, già tutto pronto, è un principio più che una silloge di principi.
    C’è un punto di svolta nel libro, quando Andrea, reduce da un esame, e quindi da un rapporto con la Società, chiama infine “mamma” Gina, la donna che amorevolmente e apprensivamente, ma anche impotentemente, la ha adottata. Fino ad ora mai era capitato che Gina la chiamasse figlia o che lei la chiamasse madre. È un momento di grande tenerezza nella storia, ma una tenerezza non melensa. In quel momento, con quella parola, quando ormai sa di non essere figlia di Gina, Andrea costruisce un passato in cui riconoscersi, gli dà cittadinanza, lp istituisce come ricordo a cui rifarsi, come un fondamento di futuro: il futuro, ora, è possibile.
    È in quel momento che la ragazzina diventa adulta, entra, con il lavoro, nel mondo, ma non subendolo, non avendo accettato la legge della “conformità”, investendolo della sua individualità e singolarità, del suo modo di essere e, in una parola, cambiandolo: tutti devono fare i conti con la sua vitalità che, dovunque, manifesta e propone un modo di essere oltre le predisposte stereotipie.
    Ma un libro è fatto anche di lingua. E qui c’è una lingua perfetta, curata, che rifiuta qualunque slang e qualunque banalizzazione. Una lingua ordinata, volutamente istituzionale vien da dire, che leggo come un controcanto, un contenimento alle vicende che, superficialmente, appaiono disordinate. Così come la struttura in capitoli contiene il flusso anarchico della vita.
    È questo stile, nella sua scelte di semplicità e correttezza, che forse evoca l’altro silente e cruciale personaggio del libro, Gina, e la funzione adulta di fronte all’esuberanza esistenziale e fisica dei giovani: la compostezza, l’offerta di una sponda stabile di fronte all’ardore. Non interdire, non inseguire, ma attendere. Nessuna proibizione, ma anche nessun giovanilismo o rivalità. Il tratto di Gina, una figura che invito a non sottovalutare, a non schiacciarla sotto l’esuberanza della protagonista, è la malinconia. Non l’impotenza, ma la malinconia che pure le ha consentito di fondere rinunce e dono, fecondando una vita ma non imponendo le sue scelte.
    Se Andrea non è tenuta al labor limae delle sue esperienze, il labor limae spetta all’autrice.
    E dietro questo labor limae c’è una storia nascosta, e fondamentale, nella vicenda, la storia di Gina: come ha vissuto la stranezza della figlia? Cosa glielo ha consentito? Il lettore, un lettore adulto e senile, alle prese con i bilanci della propria vita educativa, passa dall’identificazione con la gioventù, la sua potenza e la sua corporea anarchia, all’identificazione con l’adultità e la sua funzione evolutiva.
    È questo stile che libera l’autrice dall’identificazione autobiografica con il personaggio, che consente a chi, più vecchio di Andrea, ne legge la storia, di andare oltre il ricordo, oltre la biografia, di riconoscere le Gine della sua vita, a cui dobbiamo ancora esprimere la nostra riconoscenza e a riflettere se je suis Andrea, Gina, o entrambe.
    Aspettando, dunque, un libro su Gina.

    Salvatore Pirozzi, maestro di strada

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