Descrizione
Breve romanzo dal sapore adolescenziale, intriso di venature intimistiche e tratteggiate dallo scorrere delle pagine di un diario, Dove ho messo il violino riesce a farci partecipi delle intense emozioni del critico momento di vita attraversato dalla protagonista. Fin dall’inizio l’autore, Vincenzo Ferro, ci fa entrare nel dramma di Nicoletta, ragazzina oppressa da un oscuro senso di colpa, da una contorta rabbia, da un sordo e lacerante dolore, la cui natura verrà a chiarirsi solo nel corso del racconto. “Parlerei di mia mamma, della sua forza ostinata e delle sue nascoste lacrime; di mio padre e del giorno in cui è andato via, un minuscolo punto di un tempo quasi infinito che riesce a sovrastarmi e a condizionarmi.” Nicoletta, liceale giovane e intelligente ma egoista e viziata, o, come si definisce lei stessa, “eterna egoista, capricciosa monella”, dovrà crescere, aprirsi al mondo passando per il cambio di scuola, l’incontro con nuovi e sinceri amici, l’innamoramento e la riscoperta della madre, per poter affrontare quel fantasma che la tormenta e quella mutilazione che è tanto nel fisico quanto nell’anima.
L’autore, con una scrittura caratterizzata da vivide pennellate di umanità, sa delineare chiaramente i personaggi, realizzandoli in profili che trasudano vitalità. Attorno alla protagonista emergono importanti figure: la madre, toccante donna che affronta i dolori in silenzio, donandosi agli altri ma sapendo distinguere con decisione le situazioni; il padre, che, qual doloroso ricordo, aleggia nell’aria come un mito, per poi tornare ad essere umano e ricompreso alla luce dei suoi errori; i compagni di scuola, prima tra tutti Veronica, amica autentica e generosa; e Roberto, che, a partire da un primo magnetico incontro, rivela a Nicoletta la potenza dell’amore, in quanto dono e desiderio. Non da ultimo il violino, espressione della virtù di Nicoletta ma altresì del suo rimorso: un violino che è reso muto, ma poi viene riscoperto alla vita e riprende a diffondere la propria voce di soprano.
La protagonista saprà crescere grazie a una presa di coscienza sempre più profonda, grazie a uno sguardo rivolto all’esterno in maniera sempre più limpida e matura. Riuscirà a instaurare un dialogo con il mondo che la circonda, fuggendo dal silenzio annichilente della sofferenza; potrà così dire “Nicoletta nasce dalla cenere. Una nuova fenice”, imparando a leggere il lato positivo dell’esistenza, “perché in ogni situazione ci sarà sempre qualcosa che ti darà la spinta per andare avanti e poter sorridere, prima o poi”.
Francesca Ortolan