Descrizione
«Quando noi, poeti spiritualisti, ascoltiamo le voci occulte delle cose e sentiamo una vita oscura, germi ed orme di tristezze e di gioie quasi umane nei venti, nelle onde, nelle selve, nelle acque correnti, nelle forme delicate dei fiori, nelle linee espressive delle rupi, nei dorsi delle montagne, pensose, voi ci dite talvolta che andiamo sognando, ed è vero, ma come tutti i sogni anche il nostro ha un’origine di realtà.»
Ed è con queste parole tratte da un suo articolo, Per la bellezza di un’idea (in «Rassegna Nazionale», I, settembre 1892), che Antonio Fogazzaro invita il lettore a oltrepassare la superficie opaca della materia per addentrarsi nei luoghi più reconditi e, allo stesso tempo, più autentici della natura e dell’uomo.
Abile nel rendere corporea – attraverso uno psicologismo raffinato e tormentato – un’interiorità turbata, eclettica, irrequieta, ma anche devota, composta, sublimata, Fogazzaro rappresenta uno dei personaggi più interessanti del panorama artistico italiano tra l’Ottocento e il Novecento, non solo perché nelle sue opere si sovrappongono diversi movimenti letterari (aspetti scapigliati e tardoromantici, atmosfere decadenti, echi veristici, richiami al simbolismo), ma soprattutto perché la sua narrativa è un tentativo costante di scandagliare le vibrazioni dell’anima affinché essa non naufraghi verso il declino e la degenerazione. In una società come la nostra che parla in modo eloquente del suo silenzio e della sua leggerezza, cosa meglio della lettura di Fogazzaro può farci riflettere sui luoghi del nostro inconscio in tutte le sue sfumature semantiche?
Nelle vesti di un poeta spiritualista, particolarmente sensibile e attento a cogliere «le affinità fra l’uomo e le cose», egli si fa portavoce di un’esegesi simbolica volta a restituire alla natura – attraverso descrizioni magmatiche e fluenti – una fisionomia densa di significati e mai banale. È proprio nel paesaggio che l’apparenza della materia e l’essenza dell’anima si fondono in un respiro corale e simbiotico, grazie al quale l’uomo può recuperare la sua integrità morale ed esplorare il fondo enigmatico e viscerale del suo inconscio. Dunque, il paesaggio non è un immaginario fantastico e irreale, ma uno scenario possibile in cui l’uomo e l’elemento naturale – anche se con forme e colori diversi – sembrano parlare lo stesso linguaggio della vita, facendosi interpreti l’uno dell’altro.
Non solo. La natura, percorsa da una sottile vena di misticismo, diventa la fonte di emanazione della Verità Assoluta, il sentiero fisico e metaforico attraverso il quale l’anima accoglie tra le sue membra le manifestazioni e le rivelazioni del Creato.
Spirito profondamente religioso, Fogazzaro propone un’arte che, liberandosi delle pastoie di un perbenismo borghese sempre più opprimente e restrittivo, è volta a promuovere l’elevazione morale dell’uomo e a recuperare la primordiale sublimità del suo intimo, attraverso il potere delle emozioni e il vigore della Fede.
È questo il tema conduttore dei primi romanzi fogazzariani – Malombra (1881), Daniele Cortis (1885), Il mistero del poeta (1888) – che l’autrice Egle Greco ripercorre nelle pagine a seguire con somma maestria e nitidezza. Infatti, l’autrice – che ho avuto il piacere di conoscere – non si limita a descrivere la narrativa fogazzariana in modo sterile e distaccato, ma ne dà una lettura di rilievo in grado di dischiudere un orizzonte rappresentativo esaustivo e straordinariamente appropriato al contesto letterario. Un’interpretazione, dunque, che disvela la liricità del paesaggio e che si sofferma sull’introspezione dei personaggi, mettendo a nudo il mistero della soggettività e la veemente irruzione nella natura dell’insondabile animo umano.
Valeria Di Felice