Descrizione
Uscire dal bozzolo. È questo l’obiettivo imperante nella ricerca di Anna Aricò, nella sua tumultuosa esistenza poetica. Una ricerca fatta di luci e ombre, di passaggi e di stabilità.
Lei, la poetessa scalza dura di inchiostro, sfida il mondo e se stessa, in un’incessante produzione dai caratteri melodici, dolci e possenti nei medesimi attimi.
La prosperità dei sentieri da seguire si affaccia, con sublime prontezza, sul tempo e sulle ore che farciscono la giornata di cui l’Autrice si alimenta. Nella sua scrittura, musicale e ritmata, ogni condizione umana conosce la redenzione, quell’esaltazione misurata e necessaria affinché una sfumatura sensibile affiori.
Le danze ascetiche, la pioggia che lava via le fobie, le ineluttabili apatie che si intersecano armoniosamente con un’energia frenetica, stimolante: ogni volta che la poetessa scrive sul suo quaderno, sembra risorgere a sé e, al tempo stesso, far risorgere il contenuto di cui è artefice.
L’abilità che porta sulle spalle è dunque vivacità appassionata, produttiva di prospettive inaspettate. Docili e compiante, distinte e sonoramente fragranti.
Questa attitudine la induce a cullare le proprie trepidazioni, le proprie apprensioni per le vicende personali e globali. Niente di subdolo. La speranza, si voglia o no, s’impone prepotente. Le paure, le notti, la solitudine composta e i giorni ingombranti si fanno vivi e poi si mettono da parte.
Anna Aricò mette in scena un’ode costante ai suoi desideri, alle sue realtà percepite, alle attiguità sospese. Dagli evocati angeli in pericolo agli specchi evanescenti, l’amalgama è fiamme e fatui silenzi.
Per di più, in un operare apparentemente istintivo, si cela una qualità d’inclinazione programmatica, comunque organizzata nel suo intento: «[…] aggiusto le coordinate del mio pensiero / e poi vado avanti senza freno».
Un mix odoroso di cose da assaporare, a volte anche nella loro crudezza.
Che parla di carezze, di germogli e di icone.
Pietro Puleo