Descrizione
Con un meraviglioso gioco di parole, Salvatore Piccoli ci regala un’altra sua perla che riflette il vastissimo amore per la Calabria, componendo episodi dall’arrivo in terra meridionale del caparbio e risoluto popolo bruzio. La dedica iniziale tratta dall’autore siciliano Bufalino non è frutto di una scelta casuale, bensì manifesto letterario in cui si afferma l’attaccamento dell’Autore per il sapere legato ai ricordi e alla memoria che, classicamente, dona l’eternità, «…il calore residuo delle esistenze che furono».
Piccoli costruisce brevi narrazioni, “storie”, legate a personaggi della sua terra natia, Castagna, in provincia di Catanzaro. Varcando i confini del tempo, egli racconta dai romani sino alle due guerre mondiali, ponendo in vista le capacità e le attitudini del paese.
Diversi personaggi divengono espressioni del carattere volitivo, della voracità alla vita di una realtà dura, la quale, a dispetto della crescita tutta in salita, non ostacola la sete di conoscenza da appagare anche lontani da casa. Ad esempio la vita da esule del «povero e incolto» Paolo De Fazio, «il comunista», che decide di mettersi alla prova; infatti, abbandona la famiglia rimanendo inoltre investito dai venti impetuosi di cambiamento europeo del primo Novecento.
La delicatezza espressiva con cui l’Autore si rapporta a tutti i vari interpreti delle Storie della Storia, trascina il lettore in una magia senza tempo. Egli non può non rivedere in ciascun personaggio quella forza atavica che, in maniera conscia o no, ciascun calabrese di ogni epoca porta con sé orgogliosamente, come valore aggiunto. E con perizia storica descrive le fasi concitate della guerra mondiale affrontata tenacemente dai cittadini di Castagna, il cui riverbero travolge inevitabilmente anche la sfera privata e familiare dell’Autore.
Uno speciale accenno va all’innocente storia di Gino e al suo fragile cuore puro.
L’opera è da considerare un omaggio alla terra di Castagna, alla sua gente, che con «l’odore del mare nelle narici» ha conosciuto l’emigrazione, i soprusi del fascismo e che dunque fa proprio il sogno di un’equità sociale.
È nei capitoli finali però, in cui la morte ha avuto il sopravvento, che si giunge a una totale fusione emotiva con la scrittura. Piccoli, dall’alto della collina solitaria di Corazzo celeste, formula toccanti riflessioni sugli amici di vita, ormai defunti e perciò il «maledetto (ri)(m)pianto» del ricordo è mitigato «all’ombra dei cipressi e dentro le urne confortate dal pianto».
E quei nomi s’insediano nelle menti, anche di chi legge, divenendo affannosamente familiari.
Francesca Rappoccio