Descrizione
Il susseguirsi delle stagioni, nel corso della propria esistenza, prima o poi prende il sopravvento.
E, in questi (veri) versi, il contatto con i voleri dei cieli e delle terre si materializza nell’inconsistenza fisica dello spirito. Discostandosi, nonostante ciò, da una plateale meteoropatia.
La preferenza è indirizzata, piuttosto, ad una forma lirica che provoca fratture con l’indifferenziato, che ribadisce a più riprese quella natura che è forza generatrice, potenza mediatica nel rapporto con l’Es.
Mari vorticosi, nelle loro onde.
Inverni e primavere da snocciolare.
Incessante baluginare della coscienza nelle perturbazioni del cuore.
Morfosi introspettiva, nei richiami misteriosi del reale.
Eluso il cantabile, l’aere della malinconia terapeutica analizza le pulsioni vitali, l’esacerbazione per le illusioni emotive, l’incomunicabilità del mondo con i ricordi di una fanciullezza devota.
L’Autrice non si lascia ingannare facilmente, anzi, mantiene una tersa visione persino nei confronti della propria ispirazione compositiva: «Quando ci riesco / dò nomi / alle parole. / Quando non lo / faccio / aspetto / che mi chiamino».
La nitidezza della sua verità si rende corporea in indicazioni e attente valutazioni, estrapolabili dai restaurati contesti, ossia: dare il proprio volto ai passanti, per strada; la necessità degli istinti di ladro per rubare parole e le lance di sogno; le fortune degli assenti allo scatto della foto, che rende in un attimo più vecchi di prima; la capacità di far fiorire le cose sulla bocca ed annullare istantaneamente la morte.
Nella consapevolezza, nella disillusione, è ancora possibile rimettere tutto a posto: «[…] Aggiusteremo di confettura di arancia, / di glassa di cuore. / Aggiusteremo, / se la speranza non scappa dal cuore bucato».
Resta, così, l’augurio di porre fine a tutti questi spifferi.
E che il sommovimento dello stomaco, della propria indignazione e commozione viscerale, abbia il sapore di un bel monsone.
Pietro Puleo